• Galleria Spazio Cinquesensi-Milano

 

“La prima foto di Luisa Valieri che ho visto nella mia vita era il ritratto di una melanzana. Lo so, si dice Still Life, ma posso assicurare che quello era un ritratto, perchè rappresentava un soggetto evocandone storia e passioni. D’accordo, era “solo” una melanzana: ma così stretta al muro raccontava la spossatezza di un amore sbagliato, crudele, che le aveva segnato la pelle. 
Quando Luisa mi ha mostrato le Polaroid (mai nemmeno sospettato che una Polaroid potesse ospitare tanta costruzione dell’immagine) realizzate per questa mostra, mi è tornata in mente la carica emotiva della melanzana.

Guardate i due tulipani nel vaso: due amanti prostrati contro le pareti di cristallo come pugili sul ring dopo la lotta, su quel fondo desertico e desolato che Luisa si è inventata. E le orchidee su fondo verde acido: un tumulo dove il fiore giace e riposa. In un altro scatto il quadrato verde acido diventa un ricordo lontano e l’orchidea si slancia, alta e prepotente, sdegnosa della fine. E poi, è da ritratto l’uso drammatico dell’ombra: penso alla raffinatezza perversa delle magnolie, con la proiezione del fiore che disegna strutture quasi molecolari sopra il vaso.

È l’ombra che riempie l’immagine, che impartisce strutture geometriche alla semplicità di un’istantanea. Come in quel “gambo”, quasi astratto, una penna che si intinge in un calamaio d’acqua e cristallo. E quando da una Polaroid all’altra il gambo si concretizza in un fiore che sboccia, il pastello viola che contorna il vaso diventa come un rossetto esagerato di una donna chiassosamente bella: non sfigura, la esalta.
Tutte queste sarebbero Polaroid, quelle foto che uno scatta così, senza pensarci.
Ognuno ha la sua sintassi per raccontare le storie, Luisa Valieri le racconta coi fiori.”


Roberta Corradin